Lisbona. Colori a ritmo di fado.
Erano anni che dicevo “voglio andare a Lisbona!”… e finalmente eccomi lì, sotto una pioggia incessante. Maledetta. Ma nonostante il grigio del cielo, il vento e l’acqua, ho amato questa città, moltissimo. E’ incredibilmente contraddittoria alternando l’eleganza decadente dei palazzi a vicoletti minuscoli degni del più romantico e sperduto dei borghi. La vitalità del Bairro Alto alla quiete assoluta dei vicoli di Alfama e Graca. Dal labirinto di vie e viuzze attraverso e quali corrono le rotaie dei vecchi tram all’orizzonte sconfinato del mare. E poi si mangia troppo bene. Pesce freschissimo, formaggi per ogni palato, salse che non lasciano scampo a nessun tentativo di dieta, Pata Negra come non l’ho mangiato neanche in Spagna e toast delle dimensioni di un cacciatorpediniere. Il suo fascino è anche il suo grande limite. Servizi ridotti all’osso, gestione familiare del turismo, valorizzazione lasciata a ciò che di valore già è.
Noi dormivamo a Rossio, all’Hotel Santa Justa in Rua do Correeiros. La gentilezza del personale di questo albergo va sottolineata, soprattutto perché non ci hanno mai fatto mancare capsule di caffè in camera e ci hanno ricevuti con una bottiglia di Porto e Pastel de Nata (con quelle mi si sono definitivamente comprata).
Nonostante sia uno dei quartieri più noti e rappresentativi è quello che mi ha emozionata meno… un po’ troppo commerciale e un po’ privo di carattere. Ma bello e senz’altro da visitare, fosse solo per lo sbocco a mare della Rua Augusta su Placa do Comercio.
La sera a cena siamo andati al Leao d’Ouro, un ristorantino in centro vicino alla stazione in stile portoghese. Fantastico! C’è da dire una cosa sui ristoranti di Lisbona e cioè che tutto quell’antipastino succulento che ti portano a tavola mentre scegli cosa mangiare, non è un gentile omaggio della casa! Si paga tutto e che se non lo si vuole bisogna educatamente rimandarlo indietro. Detto questo i gamberoni giganti erano eccezionali, il pane con il burro e la salsa di tonno anche.
Giorno numero 2. E’ stato il giorno in cui mi sono innamorata di un amore folle… i tram. In particolare i famosissimo e sgangheratissimo nonché pericolosissimo (per i borseggiatori) n. 28.
Lo abbiamo preso dal capolinea a Plaza Martim Moniz e ci siam arrampicati per le stradine ripide che conducono fra vecchi palazzi su fino al Castelo de Sao Jorge, Che meravigia…
Da lì abbiamo iniziato a passeggiare per i vicoli di Graca e Alfama. Fra la cattedrale Sè, Sao Miguel e la Feira da Ladra al Campo de Santa Clara. Non senza sosta in uno dei minuscoli locali che servono la ginjinha.
Dopo un po’ di meritata siesta ci siamo uniti alla folla del Bairro Alto, alla ricerca di un ristorantino dove mangiare in mezzo alla movida di Lisbona. Abbiamo scoperto che c’è una strada in particolare piena di locali e localini dove mangiare e bere accontentando tutti i gusti e tutte le tasche. Rua Diario de Noticias, carina per mangiare, per chiacchierare appena fuori dai locali, o per fare un tour di bevute da un pub all’altro.
Ed infine, confidando in uno spiraglio di sole durato il tempo di una foto, siamo andati l’ultimo giorno a Belém. E più della famosa Torre, del monumento alle scoperte, di San Geronimo… è il Tago che rapisce. E la sensazione di immenso che lascia negli occhi.
Quello che mi rimane di questa città è la grande voglia di tornare per guardare quei colori che ho solo potuto intravedere per colpa della pioggia. Per passeggiare a maniche corte per la città vecchia avendo il tempo di guardarmi intorno con calma e attenzione. E’ una città che va respirata ancora prima che guardata. Finché non si arriva al mare. Lì, con quella vastità, tutto cambia.
Andateci per pochi giorni ma scopritela perché merita. Basta il cambiamento di luce per trasformare una piazza apparentemente anonima in un’opera d’arte!